L’Italia si ferma per dire addio a Sara e Ilaria
Ieri non è stato un giorno qualunque. L’Italia ha provato a fermarsi per salutare due ragazze troppo giovani per morire, due vite spezzate da una violenza che non è emergenza, ma sistema. Sara Campanella e Ilaria Sula: due nomi che adesso conosciamo, due storie che non avremmo mai voluto raccontare al passato.
A Misilmeri, l’ultimo saluto a Sara
Nel piccolo comune siciliano, tutto il paese si è stretto attorno alla famiglia. Sara aveva 23 anni, occhi pieni di futuro, uccisa perché aveva detto no. Il suo ex, Alessandro Argentino, non ha accettato quel rifiuto e ha scelto di spegnerla. Ha confuso l’amore con il possesso. Il feretro bianco, i palloncini bianchi, ma negli occhi della gente solo rosso: quello della rabbia e del dolore.
A Terni, una comunità chiede perdono a Ilaria

I funerali di Ilaria e Sara PH WP
Contemporaneamente, a centinaia di chilometri, un altro corteo ha accompagnato Ilaria verso il cimitero comunale. Aveva 22 anni, studiava Statistica alla Sapienza, piena di sogni e idee. Il suo ex, Mark Samson, l’ha uccisa e nascosta in una valigia. Nessun film. Solo orrore vero. Il sindaco Stefano Bandecchi ha portato la bara sulle spalle, in un silenzio che pesava più di mille discorsi.
I numeri fanno tremare
Nei primi tre mesi del 2025 sono già undici le donne uccise da uomini che dicevano di amarle. Una ogni settimana. Non sono mostri. Non sono impazziti. Sono uomini normali, spesso già noti alle forze dell’ordine, sottovalutati nei segnali di violenza e controllo.
L’università si ferma, ma il Paese non può
La Sapienza ha sospeso le lezioni, annuncia aule dedicate a Ilaria. Anche Palermo si stringe nel dolore. Ma non basta commemorare. Serve molto di più: educazione sentimentale nelle scuole, giustizia che interviene subito, ascolto reale quando una donna denuncia.
Il cambiamento parte da noi
Il presidente Mattarella ha parlato di salute ed educazione. Parole giuste, ma ora servono fatti. Servono leggi forti, istituzioni sveglie, un cambiamento culturale che comincia dentro le case, nei gesti, nelle parole, nell’idea stessa di cosa sia l’amore.
Non ci basta più piangere
Trasformiamo il dolore in lotta, la memoria in azione. Non chiamiamole più “tragedie”: sono omicidi annunciati. E ricordiamolo ogni giorno, con forza:
L’amore non uccide. L’amore non picchia. L’amore non ti chiude in una valigia.
Ci vogliamo vive. E ci vogliamo libere.