Ipsos, in occasione della Giornata della Terra, ha pubblicato i dati del sondaggio internazionale “People and Climate Change: Public attitudes to the Climate Crisis and the transition to Net Zero”, svolto in 32 nazioni, tra cui l’Italia. Questo studio analizza in profondità le opinioni mondiali sul cambiamento climatico e le azioni messe in campo per affrontarlo, svelando un contrasto significativo tra allarme e comportamenti individuali.
Cresce la paura per il clima, ma si riduce l’impegno personale
L’indagine di Ipsos mostra un forte aumento delle preoccupazioni legate al clima: il 74% degli intervistati a livello globale e il 76% degli italiani teme le conseguenze del riscaldamento climatico nel proprio Paese. Il dato è cresciuto in 18 dei 27 Paesi osservati dal 2022, con particolare evidenza nelle aree più vulnerabili agli effetti climatici estremi.
In netto contrasto, l’impegno personale appare in calo: rispetto al 2021, meno persone dichiarano di sentirsi responsabili di agire contro la crisi climatica. Questo fenomeno si accentua soprattutto nelle nazioni economicamente avanzate, dove sembra farsi strada una forma di “eco-esaurimento” o una sensazione diffusa di impotenza di fronte alla portata globale del problema.
I Paesi del G7 mostrano le contraddizioni più marcate

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I risultati del sondaggio evidenziano una criticità specifica tra le nazioni del G7: proprio in questi Stati si registrano i cali più netti sia nell’impegno personale che nella pressione verso i governi per azioni più incisive. Tuttavia, l’Italia emerge come unica eccezione, con una porzione significativa di cittadini che chiede un rafforzamento degli sforzi nazionali. Questa dinamica apre interrogativi rilevanti sul ruolo di leadership globale e sulle responsabilità percepite all’interno dei Paesi più industrializzati.
Cresce l’idea che il proprio Stato stia facendo troppo
Un altro dato critico emerso riguarda la percezione di sacrifici eccessivi: il 36% degli intervistati pensa che il proprio Paese stia esagerando negli sforzi contro il cambiamento climatico. Le percentuali più alte si registrano in Canada e Francia. Queste percezioni sembrano influenzate da fattori economici interni e dinamiche politiche, evidenziando l’urgenza di comunicare in modo più chiaro i vantaggi a lungo termine delle politiche ambientali.
Comprensioni distorte e paure sulla transizione ecologica
Nonostante una crescente attenzione al tema climatico, molte persone nutrono idee sbagliate su aspetti fondamentali della transizione ecologica. Circa il 29% degli intervistati ritiene erroneamente che non esista un consenso scientifico sugli effetti del riscaldamento globale. In Germania, Paesi Bassi e Belgio, oltre la metà teme che le energie rinnovabili causeranno un aumento dei costi dell’energia.
Ciononostante, emerge anche un certo ottimismo: il 54% prevede un miglioramento della qualità dell’aria, il 45% si aspetta progressi nella salute pubblica e il 46% anticipa benefici per la biodiversità globale.
Molta confusione sui progressi verso gli obiettivi ONU

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Il Rapporto 2024 delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile descrive una situazione allarmante: solo il 17% degli obiettivi è in linea con le scadenze previste. Più di 23 milioni di persone in più vivono in povertà estrema rispetto al 2019, e oltre 100 milioni soffrono la fame.
Il 2023 ha segnato l’anno più caldo mai registrato, accentuando la gravità della crisi climatica. Tuttavia, il sondaggio di Ipsos mostra un eccesso di fiducia nei risultati raggiunti: il 26% delle persone sovrastima il tasso di riciclo, mentre solo il 22% lo valuta correttamente. Inoltre, il 35% sottovaluta le carenze idriche, mentre il 41% sopravvaluta il numero di specie in pericolo, dimostrando una consapevolezza ancora limitata dei problemi reali.
Conclusione: serve più consapevolezza per stimolare l’azione concreta
I dati forniti da Ipsos e il Rapporto ONU 2024 mettono in evidenza una disconnessione pericolosa tra percezione e realtà. Senza una comprensione accurata della crisi, le persone rischiano di non agire con l’urgenza necessaria. Solo una comunicazione trasparente e costante potrà stimolare la responsabilità collettiva, specialmente nei Paesi economicamente più forti, dove il cambiamento deve partire con più determinazione.
A cura di Nadia Raimondi
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