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Il giorno in cui l’Europa sentì Céline per la prima volta

l’Eurovision si chiamava ancora sogno e Céline era lì

by Veronica Aceti
Céline Dion

1988, Dublino: una ragazza in abito bianco e speranza

C’era una volta una ragazza canadese che non parlava una parola di francese svizzero, né sapeva bene cosa significasse partecipare a un festival europeo. Si chiamava Céline Dion, aveva 20 anni, gli zigomi ancora teneri e una voce che già allora rompeva i vetri.

Arrivò a Dublino per rappresentare la Svizzera, in un paradosso che solo l’Eurovision poteva permettersi. Un palco che, al tempo, sembrava un salotto con luci troppo accese, e una canzone dal titolo semplice, Ne partez pas sans moi, che oggi suona come una preghiera d’amore, una supplica al tempo che passa, agli amori che scappano.

E vinse. Vinse per un soffio, per un voto, in una finale che sembrava scritta da Agatha Christie, ma in chiave pop. Vinse perché nessuno riusciva a scrollarsi di dosso quel modo che aveva di urlare il dolore con eleganza.

Non era solo una voce. Era un destino che si affacciava

Céline Dion

Céline Dion ph wp

Quando Céline Dion salì su quel palco, non era ancora “la Céline”. Non aveva ancora conquistato Las Vegas, né sapeva che un giorno avrebbe cantato My Heart Will Go On diventando sinonimo di tragedia e speranza. Ma quella sera successe qualcosa. Quel palco la vide nascere sotto gli occhi del mondo intero, come accade solo alle stelle che si formano lontano, in silenzio, e poi esplodono in pieno cielo.

Non era un momento musicale. Era un rito di passaggio. Una ragazza che cantava per sé, per il suo Paese adottivo, per tutte le donne che ancora non sapevano di poter urlare senza chiedere scusa.

Il canto che cambiò le regole del gioco

Se oggi l’Eurovision è diventato uno spettacolo da milioni di spettatori, con effetti speciali e look che sfidano la gravità e il buon gusto, è anche grazie a momenti come quello del 1988. Céline portò lì qualcosa che mancava: l’idea che la musica, anche su quel palco, potesse essere pura, autentica, emozione senza filtri.

Nessun artificio, nessuna coreografia esagerata. Solo lei, la voce, l’abito bianco e quel modo di guardare in camera come se chiedesse a tutti noi: Mi sentite davvero?

E la risposta fu sì.

Un’eredità che ancora canta

Rivedere oggi quella performance, su YouTube o nella memoria, fa un certo effetto. Non c’è nostalgia, ma una strana forma di gratitudine. Come quando si rivede la propria giovinezza nei gesti di un altro. Céline Dion ci ha insegnato che i sogni hanno accento straniero, che il talento non chiede permesso, e che si può vincere il mondo partendo da un microfono e da un cuore che trema.

In un tempo in cui tutto è eccesso, tornare lì, a quel 30 aprile del 1988, è un atto di resistenza poetica. E ricordare che, a volte, la bellezza più forte è quella che non sa ancora di esserlo.

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