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Quel ragazzo con le calze a rete 

Il mio sguardo inciampa nella loro adolescenza fragile

by Veronica Aceti
stazione ph fp

Sul binario, un ragazzo cerca spazio per esistere

Sto aspettando il treno che mi riporti a casa. Davanti a me un gruppo di ragazzini, sui diciassette anni. Alcuni hanno in mano bottiglie di birre, uno gioca con un cucciolo. Un altro è molto alto e slanciato ancora di più da una magrezza eccessiva. Le gambe smilze sono coperte (per modo di dire) da un paio di calze a rete larga, il sedere è in mostra, i pantaloncini arrivano a malapena a metà dei glutei. I capelli sono rasati, il viso evidenziato da un trucco vistoso. Si guarda intorno, continuamente.
I suoi compagni sembrano non accorgersi né di lui, né dell’abbigliamento “particolare”, né del suo sguardo incerto.
Passa qualche secondo, il cucciolo si sgancia dal guinzaglio e si precipita a graffiare le calze a rete del ragazzo descritto prima.
Improvvisamente l’indifferenza diventa un vociferare di oscenità rivolte a lui, al suo sedere, alla pelle non coperta.
Io mi sento afferrare da uno stato di ansia. Mi muore il fiato in gola.

La memoria dei diciassette anni e la propria trasformazione

Ricordo i diciassette anni. La paura di non essere niente, la voglia di differenziarmi dal gruppo, la necessità di non reprimere sensazioni, sentimenti ed idee.
Ricordo la fragilità.
Ricordo la mia giacca di pelle nera lunga fino alle caviglie, gli anfibi, le magliette del gruppo preferito. Mi ero avvicinata al rock, metal, inizialmente per piacere al mio Amore dell’epoca, successivamente per la forza di quei suoni in linea con i miei stati di ribellione.
Ricordo la decisione con cui mi tracciavo una linea spessa di elyner sugli occhi al mattino, per confermare al mondo che la ragazzina dai capelli rossi era diventata parte integrante di un determinato contesto e che con un trucco così c’era poco da scherzare.
Mi corazzavo per bene, esageravo, esasperavo.
Perché è così l’adolescenza.
Non esiste un punto di vista razionale.

jeans e calze a rete ph fp

jeans e calze a rete ph fp

La potenza salvifica dell’amicizia e del sentirsi visti

Però ricordo anche l’amicizia e l’amore.
Ci si faceva in quattro per stare insieme, per farsi promesse, per scoprire il mondo che ci circondava.
La mia migliore amica, minuta ed esile, dentro alla salopette di dieci taglie più della sua, mi tendeva la mano fedelmente davanti ad ogni mio colpo di testa.
Non scoraggiava la mia natura, lei che la conosceva. Nonostante mi prodigassi per apparire una dura, sapeva che davanti ad un film horror mi nascondevo sotto il sedile del cinema battendo i denti per la paura e che svenivo sulle montagne russe.
Noi ci proteggevamo. Dal mondo, dalle idee prima sicure e poi vacillanti, dai cambiamenti, dalla scoperta dell’altro sesso e soprattutto da quello che credevamo di essere. La conferma la trovavamo solo in lunghe lettere che ci scrivevamo durante le lezioni a scuola.
Questa è l’adolescenza. Un mutevole corso di eventi così delicato da delineare in seguito la persona che diventerai.

Un dolore che ritorna e il bisogno di scriverlo

Adesso osservando questi ragazzi, le loro brutalità verbali di fronte al loro compagno che per la rappresentazione che da di se stesso, è per loro carne da macello. Mi sento arrabbiata, triste perché bisognerebbe dire loro, noi che ci siamo già passati, che qualsiasi idea tu abbia o qualsiasi cosa tu voglia essere o trasmettere, non è così che si vince.
Le calze a rete sono rotte, il ragazzo ha gli occhi bassi, il frastuono della vergogna rimbomba più forte.
Corre l’anno 2025. Questo è un episodio. Io non posso cambiare niente.
Però lo scrivo. Per me, per esorcizzare quel sedere nudo messo alla berlina da chi come lui non sa ancora come arrivare a fine giornata sentendosi meno solo.

A cura di Veronica Aceti Leggi anche:  ti va di avere paura insieme 

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