Home Daynews24Omaggio a lui che aveva gli occhi buoni come la sua bacchetta

Omaggio a lui che aveva gli occhi buoni come la sua bacchetta

Beppe Vessicchio, l’uomo che accordava anche il silenzio

by Veronica Aceti
Beppe Vessicchio ph wp

Fa male sapere che non ci sia più

C’è un modo di stare al mondo che somiglia a una partitura: pause, crescendo, note basse e improvvise aperture di luce. Beppe Vessicchio era così. Non un volto televisivo, ma una sinfonia di sobrietà, intelligenza e ironia. Un uomo d’oro, davvero, di quell’oro che non abbaglia ma resiste, che non si ossida né si vende al miglior offerente.

A Napoli, tra il mare e la polvere dei cantieri, imparò presto che la vita è ritmo. Figlio di un operaio dell’Eternit, portava dentro il suono delle sirene di fabbrica e delle risate di quartiere. Da ragazzo si costruiva strumenti da sé, con pezzi di fortuna. Da adulto, avrebbe diretto orchestre con la stessa attenzione con cui un artigiano lima il legno.

Non fu mai un uomo da salotti. Preferiva le prove all’alba, il profumo dei fogli di spartito e le chiacchiere con i tecnici. Parlava poco, ma quando lo faceva sapeva essere spiazzante: «La musica è come la bontà: o è sincera, o non serve».

Beppe Vessicchio ph wp

Beppe Vessicchio ph wp

L’eleganza di chi non ha bisogno di apparire

Sul palco di Sanremo diventò un’icona. Ma non per l’abito o la barba, quanto per quella calma contagiosa che sembrava placare anche i musicisti più agitati. Quando la voce dello speaker annunciava: «Dirige l’orchestra il maestro Beppe Vessicchio», un sorriso attraversava il pubblico, come un riflesso pavloviano di fiducia.

Nel 1996, con Elio e le Storie Tese, mise a segno un colpo di genio: La terra dei cachi eseguita a tripla velocità per aggirare le regole del minutaggio. Nessuna vanità, solo un’intuizione musicale limpida, quasi un gioco di logica e ritmo. Dietro quella follia, la disciplina di chi conosce il mestiere fino all’ultimo respiro.

Eppure il suo segreto non era la bravura. Era la gentilezza. Dirigeva come chi accompagna, non come chi comanda. Nei suoi gesti c’era qualcosa di paterno, di profondamente umano. Il rispetto per la musica, ma soprattutto per chi la suonava.

Un’anima in controtempo

Fu docente, divulgatore, inventore di un metodo capace di far suonare persino i pomodori. Nel suo libro La musica fa crescere i pomodori raccontava il potere delle frequenze armoniche sulla natura. Non era un vezzo new age, ma la curiosità di un uomo che voleva capire come il suono potesse migliorare la vita.
E non solo quella degli esseri umani.

Credeva che l’armonia fosse una responsabilità, non un effetto estetico. La sua era una fede laica nel potere della bellezza: una forma di resistenza civile, un modo per dire che la cultura non deve chiedere il permesso di esistere.

L’eredità di una voce silenziosa

Quando se ne è andato, non ha lasciato un vuoto rumoroso, ma un’eco dolce. Gli orchestrali, i cantanti, i colleghi lo hanno ricordato con parole misurate: “un signore”, “un maestro”, “un amico”. Termini semplici, quasi antichi, e per questo così veri.

Oggi il suo nome continua a vivere nelle lezioni dei conservatori, nelle registrazioni, nei racconti. Ma soprattutto in quell’attimo che precede la musica: il silenzio carico di attesa.
Perché lì dentro, in quel battito sospeso, c’è ancora lui.

Beppe Vessicchio non ha solo diretto note. Ha diretto un modo di essere. E chiunque abbia la pazienza di ascoltare, con il cuore più che con le orecchie, lo sentirà ancora: una bacchetta invisibile che accorda la vita al tono giusto. Mancherà a tutti. A tutti.

A cura di Veronica Aceti
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