È cresciuto con noi, tra dischi graffiati e anime a pezzi
Oggi compie gli anni Gianluca Grignani, e io non posso fare a meno di sentirmi addosso una scia di malinconia mista a gratitudine. Perché sì, siamo cresciuti con le sue canzoni. Non erano solo note, erano bussole emotive. E se eri adolescente tra la fine degli anni ’90 e i primi 2000, La mia storia tra le dita era più di una hit: diventava il sottofondo delle nostre prime delusioni d’amore, delle lettere mai spedite, delle camminate solitarie col lettore CD in tasca, mentre il mondo sembrava sempre troppo grande.
Autenticità e inquietudine: la sua formula segreta
Grignani non ha mai finto. Bello e dannato prima che fosse una moda stanca, aveva lo sguardo inquieto di chi combatte i propri fantasmi, ma anche la voce calda di chi sussurra: “so cosa provi, anch’io ci sono passato.” E noi gli abbiamo creduto. Era autentico, sgangherato quanto basta, un poeta-rocker che buttava il cuore nella musica senza filtri, senza piani marketing, senza pose.
La rivoluzione ruvida de La fabbrica di plastica

Gianluca Grignani PH WP
Poi ha sparigliato le carte. Ha mollato il pop per gettarsi nel vuoto creativo con La fabbrica di plastica. Un salto coraggioso, ruvido, distorto. Le chitarre spingevano, i testi graffiavano, e le emozioni non cercavano consolazione: volevano solo uscire, anche sbagliate. Quella fabbrica eravamo anche noi, intrappolati in strutture che ci andavano strette. Lui cantava la nostra voglia di demolirle. “E vivono un metro più in là da quel che tu chiami realtà e se il mondo è di plastica, è fatto di plastica
Il mio è di plexiglas blu.”
Falco a metà: l’anima sospesa tra volo e caduta
E poi c’è Falco a metà, un pezzo che è più confessione che canzone. Dentro ci trovi il disagio, l’autodistruzione, quella sensazione strana di vivere a metà, sempre sul confine tra l’ascesa e il tracollo. Non consola, non salva. Ma ti fa sentire capito. È una poesia sporca di vita vera.
Una voce che non imita nessuno
Diciamolo chiaramente: per me la sua voce è tra le più belle in assoluto. Ha qualcosa di ruvido e celestiale insieme. Ti graffia e ti consola. Può diventare carezza o schiaffo, burrasca o riparo. Non imita, non segue le mode. È riconoscibile, vissuta, vera. È la voce di chi è caduto e ha trasformato il dolore in arte.
Non perfetto, ma sempre vero
Nel tempo ha scelto strade difficili, ha fatto giri larghi, ha sbagliato. Ma chi se ne importa? Nessuno gli ha mai chiesto la perfezione. Volevamo verità, e lui non ci ha mai mentito.
Auguri Gianluca. E grazie. Per le notti con La mia storia tra le dita in repeat, per le volte in cui ci hai fatto sentire meno sbagliati, per ogni tua frase che oggi suona ancora come un piccolo mantra storto. Siamo cresciuti insieme, e anche se un po’ rotti, siamo ancora qui. Ogni volta che canti, Gianluca, ci ricordi chi eravamo prima che il mondo ci indurisse. E per un attimo, ci viene voglia di crederci ancora.
A cura di Veronica Aceti
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