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Washington e Budapest: la mossa a sorpresa

Con l’esenzione alle sanzioni sul petrolio e gas russi per l’Ungheria, e un accordo per acquisti militari da 700 milioni di dollari, si apre una nuova fase nelle relazioni USA-Ungheria

by Davide Cannata
Trump PH Press

Nel corso dell’incontro alla Casa Bianca tra Donald Trump e Viktor Orbán, è emersa una svolta significativa nei rapporti economico-commerciali tra Stati Uniti e Ungheria. Da una parte, gli Stati Uniti hanno concesso a Budapest un’esenzione — della durata di un anno — dall’applicazione delle sanzioni statunitensi alle importazioni di petrolio e gas russo tramite i due principali corridoi (le pipeline Druzhba pipeline e TurkStream). Dall’altra, è stato annunciato un accordo che prevede l’acquisto da parte dell’Ungheria di armamenti statunitensi per circa 700 milioni di dollari mediante il programma Foreign Military Sales (FMS) USA-Ungheria.

Un doppio scambio strategico

Questa doppia svolta va letta su più livelli. In primo luogo, la concessione dell’esenzione alle sanzioni permette all’Ungheria di conservare un flusso energetico vitale dal quale dipende fortemente: secondo dati citati, circa l’86 % del petrolio ungherese proviene dalla Russia, e una brusca interruzione provocherebbe una caduta del PIL stimata oltre il 4 %. Per Bruxelles e per molti osservatori, tale passo rappresenta un’eccezione significativa all’ortodossia sanzionatoria verso Mosca, e implica un rischio di reputazione per chi finanzia o assicura simili flussi energetici.

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In secondo luogo, la controparte in termini di scambio è l’impegno dell’Ungheria verso acquisti militari statunitensi: questi 700 milioni di dollari sono un vincolo bilaterale che rafforza la cooperazione USA-Ungheria nel settore della difesa — e per Washington rappresenta anche un ingresso di capitali nell’industria militare americana, con riflessi sui bilanci dell’export statunitense.

Il nuovo profilo dell’Ungheria

In tal senso, l’Ungheria sta ridefinendo il proprio profilo strategico: da partner energetico-dipendente dalla Russia a cliente integrato nella catena USA della difesa. L’operazione comporta alcune conseguenze da monitorare: l’Ungheria, pur investendo in armamenti, continua a gravare su un sistema economico vulnerabile all’energia russa. La stabilità finanziaria di Budapest è quindi ancora fortemente legata all’accesso economico-conveniente ai combustibili russi. Il fatto che gli Stati Uniti offrano un’esenzione per un anno significa che l’arco temporale per una diversificazione energetica reale resta limitato, e che l’Ungheria potrebbe trovarsi esposta a costi d’importazione crescenti se una transizione non sarà effettuata.

A livello del mercato globale dell’energia, questa decisa sospensione della linea sanzionatoria rende più incerti gli scenari per la riduzione della domanda russa da parte dell’Europa centrale.

Investimenti e pragmatismo USA

Un terzo aspetto riguarda la dimensione degli investimenti statunitensi in Ungheria, che indicano una condizione di “sweet-spot” per Washington: infatti, la delegazione ungherese ha annunciato che nel 2025 sono attesi investimenti americani in Ungheria per circa 490 milioni di euro, il livello più alto da un decennio. Questo indica che la relazione economica va ben oltre l’energia e la difesa, inglobando anche tecnologie, industria e infrastrutture. Per gli investitori USA significa un’apertura verso un mercato che fino a poco tempo era considerato periferico rispetto ai paesi d’Europa occidentale. Per l’Ungheria, invece, significa assumersi un grado maggiore di esposizione verso il capitale e le tecnologie USA, con il corollario di una potenziale dipendenza strategica.

Infine, dal lato USA la mossa rappresenta un uso flessibile della leva sanzionatoria in funzione di rapporti bilaterali: concedere un’esenzione energetica a un Paese che resta dipendente dalla Russia in cambio di acquisti statunitensi di difesa significa che la politica commerciale e di difesa statunitense acquista una dimensione pragmatica, meno ideologica della semplice punizione-sanzione. Ciò potrebbe aprire un precedente per altri Paesi in Europa centrale che lamentano vincoli infrastrutturali e logistici per accedere ad alternative energetiche.

A cura di Dario Lessa

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